sabato 28 maggio 2011

Orgoglio e pregiudizi

Giovedì sera è stata la volta di Candy Candy, mai dimenticata protagonista dell’anime che forse ha maggiormente influenzato l’educazione sentimentale delle nate (e di alcuni nati) negli anni Settanta. Ne ha detto tutto il bene possibile Francesca Schiavon, accompagnando il pubblico presente in un viaggio allo scoperta dei momenti primigeni dell’animazione nipponica, fruita appassionatamente dall’infanzia nostrana nonostante l’allora diffidenza generale del mondo adulto. L’occasione per rimuovere pregiudizi residui e per scoprire il valore sostanzialmente eversivo di un’eroina, a torto considerata stucchevolmente piagnona, è stata offerta dal ciclo di incontri “Da donna a donna” che Dora ha iniziato a proporre da qualche tempo con l’intento di mettere a frutto le competenze interne all’associazione per perlustrare almeno alcuni tra i tanti temi che riguardano la realtà, la cultura e la politica delle donne. E questo, badate bene, in una comunità come la nostra dove ogni due passi si inciampa in qualcuno o qualcuna che chiede sornione/a a cosa serve parlare di donne in una società in cui le donne, per l’appunto, possono ormai tutto ciò che vogliono e la discriminazione fondata sul genere quando c’è è solo un elemento residuale di un cammino progressivo e inarrestabile dell’umanità tutta verso l’assoluta parità di diritti e possibilità tra donne e uomini. Ma guarda…
Assecondando un inguaribile impulso a replicare, prendiamo ad esempio il Salone internazionale del libro di Torino da poco terminato. Bastano forse due istantanee. 
La prima: nella mostra allestita per celebrare i 150 anni dell'Unità italiana attraverso 150 "grandi libri" e altrettanti autori, le scrittrici presenti erano poche, direi pochissime, scelte quasi esclusivamente in base al successo commerciale ottenuto, specie nel caso di autrici dei nostri giorni. Ci dobbiamo quindi rassegnare, si direbbe, a un ritratto di gruppo in cui, in tempi recenti, trionfano la Lidia Ravera di Porci con le ali, Susanna Tamaro e Margaret Mazzantini, mentre sono del tutto assenti, ad esempio, poetesse del calibro di Patrizia Cavalli, Patrizia Valduga o Vivian Lamarque e assente, incredibilmente, è anche Alda Merini. Sul versante romanzi, sono stati del tutto ignorati i successi di critica e di pubblico di Elena Ferrante, Valeria Parrella, Simona Vinci e Michela Murgia, tanto per fare qualche nome a caso, a vantaggio della sottesa creazione di un canone di italianità letteraria che include, invece, il purtroppo amatissimo La solitudine dei numeri primi e il non scrittore, almeno in senso proprio, Roberto Saviano.
Si può obiettare che anche molti autori uomini sono stati esclusi (ad esempio, perché inserire il commercialissimo Faletti di Io uccido e non il prolifico e bravissimo Carlo Lucarelli?), ma resta il fatto che nell’esposizione torinese  la netta sproporzione tra presenze letterarie maschili e femminili era un fatto evidente.
È un segno anche questo che i tempi non stanno cambiando? Purtroppo sì. Poco importa che da anni si “scoprano e riscoprano” raffinate scrittrici (tanto per dire: Dolores Prato! chi era costei?), a nulla vale che vi siano autrici che nel bene o nel male hanno incontrato il gusto del pubblico e influenzato prepotentemente il nostro immaginario, le donne che scrivono e pubblicano libri restano per lo più un affare da “librerie delle donne”. Insomma, le scrittrici, escluse dal canone letterario nazionale, sono considerate fattrici, nel migliore dei casi, di ossimorici bestseller di nicchia per neo o post femministe e questo è quanto.

Seconda istantanea: la storica casa editrice femminil-femminista La Tartaruga, diventata semplice collana, occupava nel Salone appena un banchetto da mercato nello stand di Baldini Castoldi e Dalai dove trionfava ovunque il faccione di Faletti. La responsabile editoriale – novella Candy Candy con il cuore grande e i lucciconi agli occhi – svendeva a prezzi stracciati un catalogo che in un mondo migliore dovrebbe essere considerato patrimonio nazionale.
Anche in questo caso parliamo di una “serie B” riservata alle donne che, è vero, leggono molto di più degli uomini, studiano di più, scrivono bene, fanno tante cose meravigliosamente (anche i cartoni animati…), ma nulla possono contro un mainstream culturale ancora oggi fondato su un solo genere, quello maschile, proposto come unico depositario di idee e talenti davvero significativi.

lunedì 9 maggio 2011

Quando emigrano le donne



L'emigrazione femminile continua ad essere un fenomeno poco indagato, specialmente se si tratta di emigrazione italiana, nel presente e nel passato, limitata al territorio nazionale o diretta all'estero. Come in molti altri casi, l'interpretazione dei movimenti migratori spesso prescinde dall'adozione di una prospettiva di genere indispensabile per capire le motivazioni che spingono le donne, specie se sole, a lasciare la propria terra d'origine e per individuare le modalità attraverso le quali avviene il loro inserimento nel contesto sociale di arrivo.
Il documentario Il mio quartiere si chiama Europa, realizzato da Francesca Nota tra Aosta e Parigi, prova a mettere a confronto le testimonianze di quattro donne di differenti generazioni che hanno vissuto o stanno vivendo importanti esperienze migratorie. Si tratta di un primo lavoro, volutamente parziale, finalizzato a mettere in luce i tratti comuni e le differenze tra l'emigrazione femminile italiana di ieri e di oggi. 
In un contesto come l'attuale in cui i migranti, uomini o donne che siano, sono detti "clandestini" e vengono raccontati dai media come massa indistinta, senza nome e senza volto, appare più che mai necessario dare voce, nome e volto a chi si mette in cammino. Fare questo, ascoltando i racconti di donne che potrebbero essere le nostre nonne, madri, sorelle, amiche significa avvicinare lo sguardo alla realtà quotidiana di chi ha dovuto e forse anche voluto andare a vivere altrove.


Il documentario Il mio quartiere si chiama Europa verrà presentato oggi in anteprima alle ore 17.00 ad Aosta presso il CSV e questa sera alle ore 21 all'auditorium della biblioteca di viale Europa.
Chi fosse interessata ad organizzare una proiezione pubblica può scrivere a quartiereeuropa@gmail.com



lunedì 2 maggio 2011

Il lavoro delle donne

Venerdì scorso Dora ci ha provato. La serata era dedicata al tema del lavoro, il lavoro delle donne o, se si preferisce, delle donne nel mondo del lavoro. Ci siamo però trovate in sei, bibliotecari compresi che erano venuti, anche e non solo, per aprire la sala, e abbiamo deciso di rimandare l'incontro. Poco male, direte, sono cose che capitano, specie di venerdì quando avere una settimana di lavoro, per l'appunto, sulle spalle appare un buon motivo per occuparsi di altro almeno per una sera. E sì, probabilmente è tutto vero, ma è vero anche che di lavoro si parla sempre meno, cancellato com'è dalla parola "crisi", diventata buona per giustificare tutto, dai licenziamenti al logoramento progressivo dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Eppure di lavoro bisognerebbe parlare seriamente perché seri sono i problemi aperti e preoccupanti gli scenari che abbiamo di fronte anche nel prossimo futuro. Non è la crisi, ad esempio, che determina la bassa occupazione femminile nel nostro paese, un'anomalia economicamente e socialmente pericolosa che dura da sempre e che ora il venir meno di adeguate politiche di welfare stanno trasformando in una "virtù muliebre" indispensabile alla sopravvivenza quotidiana delle famiglie.
Non lavorare, lavorare poco e precariamente è la strada indicata anche alle tante donne che pure hanno investito nella propria istruzione, sognando legittimamente un futuro professionale diverso dalla prestazione quotidiana di servizi di cura e di accudimento non retribuiti. Ed è questo un tornare indietro che tocca il tema cruciale dei diritti - al lavoro, alla realizzazione di sé, all'equa ripartizione tra uomini e donne dei compiti familiari - e che viene ingannevolmente occultato dietro una coltre di fallaci luoghi comuni sulla naturale aspirazione femminile all'occupazione domestica e all'abnegazione materna.
Dati alla mano, nei paesi in cui maggiori e meglio funzionanti sono i servizi sociali più ampia è la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e laddove le donne lavorano stabilmente e godendo di diritti certi e riconosciuti si fanno più figli e minore è il ricorso all’impiego di lavoratori/lavoratrici domestici. Come ci ricorda la storica Raffaella Sarti, curatrice del volume Lavoro domestico e di cura: quali diritti?, tra le tante anomalie italiane vi è quella della forte presenza di colf e badanti nelle famiglie. Si tratta specialmente di lavoratrici, spesso immigrate, che ancora oggi non solamente ingrossano, e non certo per libera scelta, le fila del lavoro nero, ma godono anche, seppure “in regola”, di scarse tutele e di diritti incerti, riproponendo di fatto in pieno terzo millennio il “lavoro servile” come accettabile e necessario al buon andamento familiare e alla stabilità sociale.
Anche la nostra piccola realtà non è estranea alle articolate problematiche che investono il mondo del lavoro in generale e coinvolgono, in particolare, le donne che lavorano o che vorrebbero farlo. Ne ha parlato la Consigliera regionale di parità, Nadia Savoini, nella relazione presentata in occasione dello scorso 8 marzo; la sociologa Chiara Saraceno, intervenuta ad un convegno promosso ad Aosta dall’Azienda sanitaria regionale, si è soffermata sulle difficoltà, anche e soprattutto culturali, che incontrano le politiche di conciliazione; la Consulta per le pari opportunità ha di recente presentato un rapporto sullo stato di attuazione delle politiche di parità in Valle d’Aosta che offre notevoli spunti di riflessione proprio in materia di lavoro femminile e anche Dora è intenzionata a dare il suo contributo al dibattito. Lo farà, ne siate certe, appena possibile, evitando come la peste i venerdì sera e contando ancora una volta sulla preziosa disponiblità della biblioteca di Donnas.